I nostri maestri orgogliosamente declamavano che quella dell’avvocato è la professione più bella del mondo, più bella di quella dei giudici, che stanno seduti a giudicare, mentre gli avvocati stanno in piedi per lottare per il buon fine dell’ordinamento giuridico e, quindi, della civiltà sociale (riecheggiando Carnelutti e Calamandrei).
Poi vennero i nuovi tempi e si è preteso di imporre il concetto che l’attività dell’avvocato non fosse una “professione”, ma, “servizio” di impresa ossia mercantile.
In prosieguo venne ancora qualcuno che operò a livello legislativo per il servizio al “libero mercato”, con l’abolizione, sostanzialmente anche delle garanzie che assistono ogni lavoratore per la dignità del proprio impegno ed i diritti inviolabili alla giusta retribuzione, aprendo la strada a concorrenza indiscriminata e senza limiti, anche ai fini della garanzia di qualità.
Sulla scia di tale involuzione crebbe la pletora degli avvocati, anche per l’insipienza della classe forense istituzionale che ha favorito o almeno tollerato l’avvento di tale pletora, spesso composta da soggetti disoccupati in parcheggio ed in attesa di qualsiasi sussidio con il costo economico ridotto, a dispetto della qualità morale e professionale.
Quindi, anche da noi ha preso piede la categoria “avvocati di strada” e quelli assoldati da gruppi imprenditoriali a vil mercato e perfino dagli enti pubblici con contratti forfettari da fame, a parte gli uffici legali interni spesso arraffazzonati con mobilità impiegatizie interne o con soggetti novizi ed inquadrati in categorie di basso livello. Salvo la pace dei buoni.
Le voci recriminatorie e contestatrici non hanno trovato certo grandi riscontri, forse perché non c’è stato adeguato movimento di sostegno istituzionale ed anzi alcune frange dello stesso ceto, nella parte dequalificata, per convenienza si sono attestati sullo status quo.
Alcuni di noi, sia pure con la forza dell’illusione, hanno continuato a battersi per la tutela effettiva dell’importanza e del decoro dell’opera dell’avvocato, protestando anche contro la deriva legislativa processuale ispirate a rigorose regole formalistiche e preclusive ad oltranza dell’attività di difesa, anche intaccando le regole della collegialità e dell’oralità, anime per il valido esercizio e risultato dell’attività di patrocinio.
Ora, però, un’ultima pubblica notizia circa la propensione della distribuzione del servizio legale da parte di Amazon, con assoldo di gruppi di professionisti da parte di tale grossa catena di distribuzione, come le merci sugli scaffali ideali di tale catena, anche per “l’affitto”, si avventa sulle nostre illusioni, con un lugubre cantico de profundis dell’Avvocatura.
Panta rei, tutto cambia e passa, ma non annulla definitivamente l’illusione che, sia pure dalle ceneri, nasca una nuova organizzazione di avvocatura libera ed autorevole che si distingua da quella ormai istituzionalmente decretata, con livello associativo di autoctona selezione e che recuperi gli antichi valori e la valida funzione per il buon fine dell’ordinamento civile e giuridico.
Come è stato espresso, a tale fine una buona classe di avvocati giova non meno che una buona classe di giudici (Carnelutti). L’araba fenicia non può essere realizzata con prescrizioni e restrizioni e sbarramenti antinflazionistici, ma con rinascita interna.
Sarebbe una nuova incorporazione o, come si dice, una lobby? Ben venga, se composta da liberi e validi, come gli appartenenti alle antiche corporazioni dei migliori.
È un’utopia di chi non si rassegna al tramonto e cerca di intravedere nella foschia un barlume di rosso per l’auspicato buon giorno.
Perdonatemi.
Raffaele Mirigliani